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LUIGI FRANCIOSINI

Professore presso la facoltà di architettura di Roma Tre; è nato ad Orvieto il 27 maggio 1957, si è laureato presso l’Università degli Studi “La Sapienza”, Facoltà di Architettura di Roma, con lode. Nel 1992 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Composizione Architettonica e nel 1994 svolge per un periodo il ruolo di professore alla Carnegie Mellon University di Pittsburh (USA), dove è responsabile del Second Year Design Studio, masonry and wood construction.

Emerge chiaramente la grande importanza nel suo pensiero dell’elemento archetipo.

Si dedicò ad indagare la natura dei fenomeni architettonici investigando la complessità verso l’essenzialità archetipica degli elementi di base essenziali e fondativi del pensiero costruttivo dell’architettura dove: “forma e significato trovano la loro prima motivazione d’essere”.

Si fa promotore di un approccio multidisciplinare al progetto, che intersechi trasversalmente la disciplina creativa, quanto l’archeologia, la storia, e tutto ciò che concerne l’osservazione attenta dell’esistente.

Concepisce il paesaggio come un’entità da rendere vitale e trasmettere al futuro, in un atto sintetico che faccia un po’di pulizia, renda più sobrio e netto quel panorame che oggi si affastella alla nostra vista.

MUSEO DELLA SCIENZA 


Il recente progetto per il Museo della Scienza, a Roma, che si inserisce in un contesto, è un’effettivo punto di partenza per comprendere le sue logiche porgettuali, nell’approccio all’esistente.

Il nuovo MSR si presenta al quartiere attraverso la solida compattezza muraria del recinto del vecchio Stabilimento Militare, unico frammento superstite del carattere architettonico del quadrante urbano Flaminio. Su di esso s’innalzano le torri solari che riconducono le attenzioni al cielo.

Il progetto mantiene coerenza con il sedime degli Stabilimenti Militari e la città che tutt’intorno si distende: conserva l’antico recinto e lo assume come invaso entro il quale cresce la volumetria del complesso museale.

Sul piano urbano il progetto dialoga con il carattere assertivo del castrum militare, delle vie, degli slarghi, dei filari di tigli che scorrono tra i padiglioni delle officine. Un contesto fatto d’angoli retti, d’ombre regolari, d’assi e di contrappunti, a ribadire l’alberata di platani di Via Reni. 

Il rapporto con Roma è fatto anche di colori – l’ocra, i gialli, i rossi.

La concezione tipologica si basa su alcuni chiari principi compositivi:conservare il recinto, liberando le antiche strutture da ogni ruolo portante e concepire la tettonica del museo in modo indipendente, integrando strutture in elevazione in cls armato con travi reticolari a grandi luci in acciaio.

Il museo propone un’articolazione funzionale e spaziale che facilita l’accesso all’offerta culturale in un contesto pienamente accessibile (design for hall). L’ampio foyer che attraversa l’edificio potenzia la relazione tra esterno e interno connettendo lo spazio pubblico ai percorsi museali e al ‘Giardino Pensile Solare’.

PROGETTO PER VIA DEI FORI IMPERIALI



L’intervento si configura come un’architettura di suolo che risolve la discontinuità topografica tra città antica, moderna e contemporanea; modellata lungo i bordi per assicurare contatti e rendere leggibili ambiti spaziali tra le quote.

Una piastra si distende nell’invaso oggi occupato da Via dei Fori imperiali, non più tesa univocamente tra Colosseo e Piazza Venezia, ma rallentata da una rete di percorsi in direzione est-ovest. 

La strategia progettuale dà soluzione a tre sistemi di elementi:
- il sistema archeologico, fatto di parterre ed emergenze, di luoghi densi e più rarefatti;
- il sistema moderno e contemporaneo, articolato in un tessuto di percorsi e mete, di direzioni fisiche e visive, punteggiato di episodi monumentali; 
- il sistema del verde, ordinato in filari, masse, tappeti erbosi per ricongiungere, orientare, ridare forma e guidare l’osservazione del paesaggio.


Alla quota dei parterre, si attraversano i Fori alternando luoghi aperti e assolati a luoghi protetti e in ombra, suggerendo un’esperienza di movimento coerente con la spazialità antica. Questi nuovi luoghi dell’archeologia, vengono concepiti come sequenze di spazi, pubblici e liberi. La piastra, distesa nell’invaso dei Fori Imperiali, diventa dorsale per le strade che discendono a valle dall’Argiletum, dall’Esquilino e dal Colle Oppio e che proseguono oltre, attraversando il Velabro, ricongiungendosi  alla Via sacra, fino al Foro Boario e al Lungotevere. Viene risolto l’accesso alla Basilica di Massenzio con un collegamento aereo dai giardini di Villa Rivaldi.

L’invaso dei Fori viene riattivato come spazio pubblico anche attraverso un uso architettonico del verde, con la realizzazione di interventi strategici per dare forma ai vuoti e carattere alla percezione. Il sistema verde si pone in continuità con la tradizione del giardino all’italiana con veri e propri interventi di arte, che selezionano, suggeriscono direzioni, allineamenti, limiti e soglie e attualizza le esperienze di Giacomo Boni sull’uso della vegetazione in contesti archeologici (conforma, completa, rende riconoscibili le unità). 

DOMANDA:

In che modo l’ambiente in cui si è formato ha potuto influenzarla nella ricerca dell’essenzialità archetipica degli elementi fondativi del pensiero costruttivo?

Martina Cristaudo | Federica Carrozza